Filosofia e scienza La ricerca epistemologica

Saggio di Bon Marianna Cl. 4ASU

Il Saggio è stato composto al Seminario Laboratorio “La pratica filosofica” – Arta Terme 15-19 maggio 2017

Con l’avvento del positivismo nel XIX secolo il rapporto tra cultura umanistica e scientifica si rovescia a favore della scienza; l’unico sapere autentico diviene perciò quello scientifico che rappresenta la fase più alta dello sviluppo cognitivo dell’uomo e che, da questo momento, diventa il modello al quale ogni sapere deve ricondursi per essere considerato certo. Proprio questo periodo fornisce i primi impulsi alla nascita dell’epistemologia dovuti principalmente ad una crisi della disciplina madre di tutte le scienze, la filosofia. Con l’affermazione del pensiero scientifico infatti essa si vede restringere il proprio campo di studio alla metafisica. Essa infatti resta al di fuori della ricerca scientifica in quanto, come sostenuto da Kant nella “Critica della ragion pura”, non ha la possibilità di giungere ad un giudizio di tipo sintetico universale. La filosofia inizia quindi ad occuparsi di epistemologia. Termine che deriva dalle parole greche episteme (conoscenza vera) e logos (discorso), essa si occupa del sapere delle scienze empiriche ; più precisamente essa cerca di stabilire i criteri in base ai quali si distingue ciò che è scienza da ciò che non lo è ed inoltre si occupa di delineare i caratteri dei paradigmi scientifici, con particolare attenzione alle “fratture” che hanno portato alle rivoluzioni scientifiche.

Nell’opera “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” del filosofo T.S. Kuhn egli sostiene infatti che la scienza non avanza per gradi ma per cambiamenti repentini e rivoluzionari, un esempio di ciò si può trovare nell’apporto portato alla scienza da Galileo Galilei, egli infatti si trova a “tradire” il pensiero degli studiosi precedenti, come Tolomeo e Aristotele, introducendo un modo completamente nuovo di vedere la scienza grazie all’uso di strumenti e di un metodo scientifico che successivamente, dopo alcuni miglioramenti da parte degli studiosi successivi, verrà applicata a tutte le scienze. Riguardo l’uso sistematico di questo metodo il filosofo Fayerbend pubblica l’opera “Contro il metodo” in cui mette in discussione la vecchia epistemologia mostrandosi promotore di un’epistemologia di tipo anarchico in cui non esiste alcuna certezza assoluta. Fayerbend sostiene infatti che la scienza si evolve tramite paradigmi contrari a ciò che era stato teorizzato in precedenza, procedendo per salti e “tradimenti”. Il filosofo critica fortemente l’esistenza di un metodo universale in quanto un uomo intelligente è opportunista e non si dovrebbe far limitare da metodi; per questo, i veri scienziati, non sono metodologici ma sono creativi; in questo modo si otterrebbe la distruzione del mito della ragione e della scienza il cui prodotto, la tecnologia, è diventato, nel mondo odierno, un’ideologia.

Per quanto riguarda l’altro campo dell’epistemologia, la ricerca di criteri di scientificità, è necessario citare l’operato della corrente del neopositivismo logico, in particolare del Circolo di Vienna, un gruppo di pensatori composto da logici e matematici. Essi danno allo studio dell’epistemologia una svolta linguistica in quanto, al centro dell’analisi e della ricerca, vi è il “ponte” che unisce realtà e pensiero, ovvero il linguaggio, e non la realtà e il pensiero stessi; in questo modo il problema della filosofia viene considerato un problema di linguaggio. tra i principi fondamentali di questa corrente è infatti possibile notare l’intento di definire i criteri di significanza che distinguono le proposizioni sensate da quelle insensate, da ciò deriva il criterio di significanza secondo cui una proposizione è verificabile se è sensata. Proprio per questo i componenti del Circolo di Vienna considerano significativi solamente due tipi di enunciati: quelli analitici, che riguardano verità tautologiche, e quelli sintetici, che invece concernono fatti che si dimostrano veri perché verificabili. Per questo secondo tipo di enunciati viene definito il principio di verificabilità secondo cui basta che un fatto risulti potenzialmente verificabile, anche solo con gli esperimenti mentali utilizzati da Galileo, per essere definito vero. Da ciò ne consegue che la scienza è basata sulla verifica e rappresenta l’attività conoscitiva per eccellenza, mentre metafisica, etica e religione non forniscono conoscenze di alcun tipo in quanto basate su principi inverificabili. Una delle opere che il Circolo di Vienna tiene maggiormente in considerazione è il “Tractatus logico philosophicus” di Ludwing Wittgestein (1889 – 1951) con cui egli crede, inizialmente, di aver risolto tutti i problemi filosofici sostenendo che questi ultimi risultavano insensati in quanto formulati con un linguaggio privo di senso e quindi non era necessario trovare una risposta ad un problema insensato, pensiero riassunto nella sua opera con la frase “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Successivamente Wittgestein ritorna alla ricerca filosofica; considerando la sua prima opera errata in quanto evitava il problema senza risolverlo, produce una nuova teoria del linguaggio chiamata “teoria dei giochi linguistici” in quanto il linguaggio è paragonato a un gioco poiché così come esistono diversi tipi di giochi esistono diversi tipi di linguaggio, esso infatti può dare vita alle cose più diverse in quanto il suo senso sta nell’uso che ne viene fatto. Secondo questa teoria il linguaggio delle scienze empiriche non è più l’unico possibile poiché non si può distinguere in base ad un unico principio se le proposizioni siano sensate o meno. Si apre così una nuova branca della filosofia che ha il compito di investigare tutti tipi di linguaggio, la filosofia analitica. Mentre Wittgestein si trova a riformulare il proprio pensiero la corrente del neopositivismo entra in crisi a causa di un forte paradosso: tenendo presente che le affermazioni empiriche devono essere smentibili, il principio di verificabilità si pone come un qualcosa di non smentibile e quindi inverificabile e potrebbe essere quindi paragonato ad una sorta di dogma metafisico che va contro il pensiero anti – metafisico dei suoi autori. Vi è inoltre un problema nel linguaggio in quanto tutto ciò che non riguarda le scienze empiriche, quindi il mondo dell’affettività e dell’arte, risulta privo di senso logico causando uno stato di afasia esistenziale. Proprio per questo il filosofo Antiseni, riferendosi al Circolo di Vienna, dice: “una filosofia del segno selvaggio e violento. È stata una filosofia settoria , unilaterale, mutilatrice di vasti ambienti di esperienza e di linguaggio umano.”

A smentire ulteriormente gli ideali neopositivisti è il filosofo Karl Popper (1902 – 1994) che rivede il principio di verificabilità cercando un criterio di demarcazione tra scienza e non scienza arrivando alla conclusione che una teoria è scientifica perché ha in sé la possibilità di essere smentita, da ciò deriva quindi il principio di falsificabilità.

Influenzato dal pensiero di Albert Einstein, Popper, sostiene infatti che miliardi di conferme non rendono certa una teoria ma basta un solo risultato negativo per confutarla. La scienza quindi non è fatta di verità certe ma si presenta come un insieme di ipotesi che, per il momento, non sono ancora state smentite, proprio per questo non esistono verità assolute ma solo relative. Proprio perché non confutabile la metafisica viene così separata definitivamente dalla scienza lasciandole però una funzione propulsiva in quanto è grazie ad esso che la ricerca empirica è stimolata a giungere a nuove scoperte.